I pionieri della Motor Valley: Andrea Pontremoli

La parola ai pionieri, a chi era lì dal giorno zero a sperimentare, imparare, sbagliare e correggere. Questa è la storia di come la tecnica è cambiata e si è evoluta nel corso degli anni, con la fibra di carbonio come filo conduttore e la Motorvalley teatro ideale, raccontata da chi ne è stato e ne è ancora assoluto protagonista. Andrea Pontremoli.

Cominciamo con una suggestione: qual è il suo primo ricordo di un’auto da corsa?

Ricordo quando andavo con i miei amici a vedere il Gran Premio di Monza in autostop. All’epoca era diverso rispetto ad oggi e già il viaggio di per sé era un’avventura! Ma il bello doveva ancora arrivare perché alla fine la gara la guardavamo arrampicati su un albero come molti altri ragazzi della nostra età. L’autostop era un metodo di trasporto che mi piaceva e mi permetteva di socializzare; in quello stesso periodo studiavo a Parma e il caso ha voluto che una volta sia successo di prendere davvero “il treno” giusto, accettando il passaggio da un signore che, nel dirigersi verso Bardi, chiese di fermarsi un attimo all’officina di un certo Giampaolo Dallara. Quella è stata la prima volta in cui ho visto sia lui sia il telaio di una Formula 3, e non avrei mai immaginato che sarebbero poi diventati per me tanto familiari.

Quando invece ha avuto per la prima volta l’opportunità di guidarne una? Come si è sentito?

Tutto per me è partito dalla passione per la velocità, che all’epoca fomentavo correndo in moto perché era più economico rispetto alle auto; il mio sogno su quattro ruote si chiamava 112 Abarth, la prima auto sportiva che abbia mai guidato. Per arrivare alle macchine da corsa dobbiamo invece fare un salto in avanti fino ai giorni nostri, alla Dallara, perché qui ho guidato prima una F3 e soprattutto poi la Dallara Stradale, provandola addirittura quando ancora era un modello digitale nel nostro simulatore, una cosa da fantascienza.

Quando è stata la prima volta in cui ha “incontrato” la fibra di carbonio?

Direi agli inizi degli anni 2000, quando passavo le ferie con l’ing. Dallara a guardare e interessarmi sempre più a quello che faceva. Da questi primi approcci è nata anche la nostra amicizia che tempo dopo mi ha portato a lavorare qui, in quell’officina che ora è diventata azienda, e che mi aveva sempre così affascinato.

Durante l’evento per la presentazione del progetto Maserati Restomod MV 3200 GTC, ha rinnovato il suo impegno e forte interesse nei confronti del territorio e dell’importanza della formazione dei giovani che sono nati nella Motor Valley o che aspirano a diventarne parte. Sia Bercella sia Dallara sono molto attive su questi fronti con l’impegno, tra gli altri, in enti come Innovation Farm o ITS Maker. Secondo lei ci sono ancora dei “pezzi mancanti” in questo puzzle? Cosa si può fare per far girare ancora meglio questo motore?

Il punto focale di questo discorso è una frase che dico sempre, e cioè che un’azienda al giorno d’oggi non può pensare di essere competitiva se non rende competitivo anche il territorio all’interno del quale si trova. Pertanto, ogni azienda con la quale lavoriamo ha interesse, così come noi, a creare un valore da trasferire poi al territorio. E molto spesso questo valore si traduce anche in una crescita per i clienti, quando insieme riusciamo a raggiungere una soluzione alla quale inizialmente non avevano pensato.

Il vero step da fare, e penso che in parte stia già avvenendo, è trasferire il concetto e la formazione che stiamo facendo per l’Automotive, anche per altri ambiti per i quali stanno nascendo la Food Farm, la Logistic Farm e la Mechatronic Farm, le cui radici comuni sono la formazione, la preparazione tecnica e manageriale delle persone, e il valore aggiunto che loro stesse porteranno ad ogni settore di competenza. Questo funziona soprattutto nel momento in cui paragoniamo la formazione alla tecnologia, perché senza la prima, la seconda diventa solo una macchina o un computer che sta lì fermo senza nessuno in grado di farlo funzionare al meglio.

In secondo luogo, c’è il concetto di Open Innovation, che trascende i confini di un’azienda per unirsi a quelli di un’altra nell’ottica di creare qualcosa che va oltre l’expertise dell’una e dell’altra.

Parlando invece del suo ruolo come Amministratore Delegato, sin dal suo ritorno nella Valceno ha da subito puntato l’obiettivo sullo sviluppo e la coesione del territorio: percepisce un diverso modo di fare business tra aziende del territorio e con Partner che invece non condividono queste stesse radici?

I principi del business non cambiano rispetto all’area geografica, quello che davvero fa la differenza è quanto sei in grado di creare valore per il cliente ma soprattutto quanto riesci a sostenerlo nel tempo. E questo meccanismo è proattivo al massimo anche per l’azienda stessa, perché si trova costretta ad organizzarsi internamente per cercare sempre qualcosa di nuovo su cui fare leva. Tuttavia, nella Motor Valley si percepisce una coesione di valori importante che sta cominciando a far capire alle aziende che ne fanno parte che hanno davvero un valore aggiunto sul quale puntare.

La sua formazione e in generale il suo background informatico esula dal Motorsport, che ci ha detto essere sempre stato una delle sue passioni. Come è riuscito a mettere insieme questi ambiti in modo proattivo?

Devo dire che nella mia vita sono riuscito a trasformare le mie passioni in lavoro: prima la musica, poi l’elettronica e infine la velocità, fino ad arrivare ad oggi dove riesco a mettere insieme tutte e tre. Dal punto di vista lavorativo credo però che l’affinità con l’elettronica mi abbia permesso di trasmettere in Dallara l’importanza della digitalizzazione, capendo che computer e simulatori, così come già si faceva con la galleria del vento, sono strumenti che offrono la possibilità di sperimentare e sbagliare a basso costo e quindi di innovare più velocemente. Puoi lavorare nella realtà a partire da dati digitali che per loro natura sono più rapidi da ottenere.

Se dovesse raccontare ai collaboratori di Bercella quali sono le sfide che vede come nostro cliente e spiegare quale sia il senso del loro lavoro, cosa direbbe?

Si può davvero dire che Bercella sia una parte fondamentale della Motor Valley Emiliana e della storia di Dallara, è un’azienda formata soprattutto da amici con i quali condividiamo anche molti ideali, tra cui sicuramente la formazione, che Franco Bercella ha fatto sua in una misura davvero importante. E abbiamo la fortuna di avere un rapporto grazie al quale possiamo costruire insieme il futuro di cui abbiamo bisogno.

Una prossima sfida comune è sicuramente lo Spazio, inteso come new economy sia dal lato del contenitore con la costruzione dei razzi e dei loro componenti, sia dal lato del contenuto, ovvero tutte quelle cose che verranno lanciate in orbita con quegli stessi razzi. Va da sé che Bercella ha moltissima esperienza sui “contenitori” e sulla loro realizzazione in composito, e noi ci stiamo attrezzando per il “contenuto”, quindi ci sono sempre occasioni di lavorare insieme, ma soprattutto di lavorare bene insieme.

Qual è stata la sua vittoria più bella?

Piu che una vittoria sportiva vorrei parlare di una vittoria personale, e in particolare della 500 Miglia di Indianapolis del 2008, che è stata la mia prima 500 Miglia. Era ovviamente chiaro che avremmo vinto perché tutte le macchine erano nostre, però quando vedi 500.000 persone trepidanti per guardare una gara bellissima nella quale si battono 33 macchine, tutte fatte a Varano de’ Melegari, e capisci che l’America impazzisce per una cosa nata a migliaia di chilometri di distanza in riva al fiume Ceno, beh in quel momento mi sono davvero reso conto di dove fossi arrivato. Una delle emozioni più belle della mia vita.

“Così ho preso la mia, di macchina, e sono salito dalle parti di Parma, dove son finto in uno di quei pezzetti di Italia che mi affascinano e che trovo, per ragioni che non so definire, struggenti. E’ che incroci mucche al pascolo, poi quelle misteriose fabbrichette dove fanno cose tipo intonaci ma li fanno anche per Dubai, poi incroci ordinate casette dipinte inspiegabilmente di giallo limone.”

-Varano de’ Melegari secondo Alessandro Baricco